Il carnevale di Tricarico, transumanza, rito e pratiche

Testo pubblicato in Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022 http://www.istitutoeuroarabo.it/DM/sommario-n-58/

Testo e foto di Marina Berardi

In Basilicata, a Tricarico, piccolo centro del Materano – oggi sotto la soglia dei cinquemila abitanti e noto per aver dato i natali al poeta e fine intellettuale Rocco Scotellaro, che ha contribuito a creare una nuova narrazione e stagione politica dell’intero Mezzogiorno – è possibile assistere ad una forma carnevalesca interessante per tipologia e peculiarità oltreché per i processi culturali e patrimoniali che mette in campo nelle venature e dinamiche del contemporaneo.

Il carnevale di Tricarico, che ho avuto modo di osservare sia come antropologa che come fotografa in diverse occasioni e a partire dal 2014, colpisce per un aspetto che mette in evidenza le tradizionali forme culturali della comunità, prevalentemente contadina e pastorale.

Da qui prende vita il carnevale di Tricarico come forma espressiva e simbolica della transumanza, transumanza di uomini che interpretano le stagioni del ciclo della vita e della terra, come eco di un mondo che in parte non esiste più seppur ancora oggi il paese sia sulla via della transumanza e da essa attraversato. Durante il Carnevale di Tricarico un corteo, che si fa mandria, di uomini/vacche e uomini/tori, con i campanacci appesi al collo, solcano il tempo sospeso del carnevale per celebrare l’alternanza di vita-morte-rinascita e il ritorno di un tempo nuovo.

L’MÀSHKR

Partecipare al carnevale, a molte latitudini, significa sempre indossare una maschera che ne assume un valore simbolico totale, e rende possibile il carnevale come rito di disfatta, di creazione, di interpretazione, di sovversione, è «la festa del tempo che tutto distrugge e tutto rinnova» (Bachtin 1968: 162). A Tricarico la maschera diventa sinonimo dell’intero carnevale e parteciparvi equivale all’andare a maschera, in dialetto tricaricese l’màshkr. La maschera, come scrive l’antropologo Vincenzo Padiglione, è «un’espressione della liberazione del simbolico, quale apertura al possibile, all’ironico e al finzionale. [...] L’incontro con popoli diversi ha reso possibile documentare processi di incorporazione e densità simboliche tali che il mascherarsi, in quanto assunzione di un corpo altro, ci racconta di stati di possessione e di livelli di apparizione/rivelazione, comunica la domanda di metamorfosi, di esplorare nuove identità, di entrare in contatto con l’invisibile, di usare la maschera come soglia profetica grazie alla quale interrogare/annunciare il futuro. Del resto quando la maschera si fa volto la stagione del cambiamento appare alle porte: emergono ibridi, si rendono immaginabili mutazioni antropologiche» (Padiglione 2016:30). La metamorfosi a Tricarico consiste nel “mascherare” il corteo carnevalesco in una mandria di uomini rispettando schemi e comportamenti arcaici della transumanza. La maggior parte delle maschere è infatti prevalentemente composta dalle vacche; la presenza del toro è in numero inferiore poiché tale è la composizione durante la transumanza; lo stesso avviene con i campanacci indossati al collo che differiscono nei suoni e nelle dimensioni.

La scasatora è, ad esempio, il campanaccio più grande, appartiene alla mucca più anziana, una sorta di bussola per la mandria intera e per il pastore, una guida per gli uomini. I campanacci liberano i suoni reiterando movenze e danze che fanno del mondo un virtuoso connubio antropomorfo, una mandria che cammina, una transumanza che sovverte l’antropico e reimmette l’uomo negli schemi dello zoologico, una transumanza di musica che si fa paesaggio.  La realizzazione delle maschere, dei costumi, che hanno elementi decorativi estremamente raffinati e complessi, è affidata a mani esperte, solitamente donne di famiglia, che impreziosiscono quelle tradizionalmente indossate dagli uomini, con diversi richiami femminili come merletti, ricami, motivi floreali, foulard, scialli, nastri di raso colorati che troveremo abbinati al costume della vacca.

Alla vacca e al toro vengono fatte indossare maschere simili nella composizione e differenti nei colori. Entrambe le maschere hanno un copricapo a falda larga e un velo solitamente decorato con dei ricami che alcune fonti orali ricollegano al velo nuziale. Nel caso della vacca il copricapo è colorato e il velo è bianco; nel caso del toro questi due elementi sono neri. Per entrambe, dal copricapo discendono numerosi nastrini di raso che corrono lungo l’intero corpo creando l’effetto di un folto manto e conferendo dinamismo, leggerezza e ritmo ai movimenti delle maschere. Anche in questo caso i nastrini della vacca sono variopinti mentre i nastrini del toro sono neri e sporadicamente rossi. Entrambe le maschere indossano una calzamaglia: bianca o chiara per la vacca e nera per il toro che spezzerà questa cromia con dei fazzoletti rossi posti sui gomiti, sulle ginocchia e all’inguine.

L’enfatizzazione di alcuni comportamenti come quello della monta tra gli animali interpretati dalle maschere ci riporta a quella dimensione sovversiva del carnevale che è anche il tempo del desiderio, del corpo, della speranza. «Allo schema ascensionale della proiezione verso l’alto sono inversamente legati schemi di discesa verso l’intimità, verso le parti “basse”, legate agli spazi viscerali e sessuali (Bachtin 1979; Durand 1992: 269 e sgg.; Camporesi 1985: 38 e sgg.) che connettono a livello archetipico le performance politiche e sessuali proprie dei carri e delle satire» (Simeoni 2016: 101). 

Il carnevale, espressione di un tempo circolare, perifrasi dell’eterno ritorno, è una forma cerimoniale che si caratterizza all’interno di uno spazio dedito alla messa in scena del divertimento, del tragico, del grottesco ma anche del dramma individuale e collettivo, una gioiosa illimitatezza in uno spazio di illimitatezza codificata.

A Tricarico è nella notte del 17 gennaio, alle prime luci dell’alba, nella celebrazione di Sant’Antonio Abate (Spera 1982) che ha inizio il carnevale che durerà fino all’ultima domenica, quella che precede il Martedì Grasso quando il corteo accompagnato da massari, sotto massari e vaccari sfilerà per un intero giorno fino a quando, di nuovo immersi nel buio e nell’oscurità, il fantoccio di Carnevale sarà dato alle fiamme terminando il tempo dei riti del fuoco.

Anche Carlo Levi ne fu affascinato e ritroviamo questa sua fascinazione nelle pagine di Le mille patrie: uomini, fatti, paesi d’Italia «Andai apposta a Tricarico con Rocco Scotellaro. Il paese era svegliato, a notte ancora fonda, da un rumore arcaico, di battiti su strumenti cavi di legno, come campane fessurate: un rumore di foresta primitiva, che entrava nelle viscere come un richiamo infinitamente remoto; e tutti salivano sul monte, uomini e animali, fino alla Cappella alta sulla cima. S. Antonio, questo Prometeo contadino, inventore del fuoco, dell’addomesticamento degli animali, delle culture, questa divinità arcaica del mondo contadino, questo creatore delle sue origini, si stabiliva sulle cime, dove sorgevano i paesi, nelle chiese cristiane, che erano diventate poi i suoi sacri recinti» (Levi 2000: 286-287). Nelle parole di Carlo Levi sul Carnevale di Tricarico ritroviamo il mito, il sacro e l’uomo. Ritroviamo Prometeo che diede ali di fuoco per contenere il buio e per addolcire il disordine, che volle creare dalla tempesta delle sfide degli dèi un’armonia per gli uomini. In quella terra, Sant’Antonio, anacoreta e folle, volle sfidare le fiamme degli inferi liberando chi lo incontrò dai suoi gemiti.  Possiamo anche spingerci oltre e acquisire il senso complesso, denso e stratificato del carnevale nella contemporaneità se accettiamo di sottrarlo alle visioni monolitiche e arcaicizzanti  e se accettiamo di collocarlo nello scenario di un mondo in «effervescenza e conflitto, dentro i processi plurali che fanno riferimento alla globalizzazione e a ciò che l’antropologo Ariun Appadurai (2001) ha chiamato ideascape» (Clemente 2016: 26) in quello spazio di tensione locale e translocale che ci permette di restituire pienezza a un fenomeno complesso in cui coesistono forme culturali locali e ibridismi lontani.

Straordinaria è stata ad esempio l’interpretazione che il Maestro Antonio Infantino ha fatto del Carnevale di Tricarico nel 1989 e che possiamo ancora vedere nella realizzazione audiovisiva di Francesco Ventura[1] in cui si dissacrano e rielaborano al tempo stesso le forme tradizionali del carnevale per indurci ad una riflessione sul senso del sacro di un rito che per sua natura dissimula il reale spingendoci nelle forme del possibile.

Le sfide del contemporaneo ci inducono a chiederci molte cose rispetto all’esecuzione rituale del Carnevale:  «da dispositivo rituale le maschere orientavano, celebravano, rendevano pensabili le transizioni più difficili della vita. Oggi ci aiutano a navigare la complessità, a vederci diversi. Forniscono le parole visive per indicare mondi sospesi, deviazioni incarnate, rivolte annunciate, scarti possibili dal principio di realtà» (Padiglione 2016: 31). E navigare la complessità significa cogliere anche dinamiche locali attraverso la lente carnevalesca. Il corteo delle maschere che si dirige nottetempo nelle vie del centro storico della cittadina arabo normanna prova a svegliare un paese ancora assopito, lo fa con i campanacci, con i gemiti della monta del toro e della vacca e lo fa percuotendo con i pugni stretti le porte delle abitazioni, abitazioni che impressionano per essere serrate e chiuse in un silenzio che non appartiene più all’uomo.  Il corteo attraversa un paese che scompare poiché subisce la contrazione demografica come molti paesi della Basilicata, ma allo stesso tempo entra in inedite strategie di appaesamento, entra in nuovi tessuti urbani, così che il carnevale sperimenta nuove forme di comunità, mette in scena nuove forme di abitare e dei nuovi modi di praticare il rito. Sono interessanti a tal proposito gli sguardi sulle dinamiche patrimoniali dal Raduno delle Maschere antropologiche che vede la messa in rete di diversi carnevali o l’ingresso nella Federation of European Carnival Cities, tutti elementi che inducono ad una riflessione più adeguata e necessaria sui modi in cui si partecipa al rito nella contemporaneità, anche quando la sua esecuzione si colloca fuori dal tempo e dallo spazio del rito. Il reportage che presento è una visione personale, che prova a superare la descrizione del rito mettendo in evidenza la sua trasfigurazione, ed essendo il carnevale un rito di trasfigurazione questo lavoro possiamo definirlo una trasfigurazione della trasfigurazione. Per questa ragione, la visione ha operato per sottrazione, in bianco e nero, non ci sono i colori, seppur fondamentali nella rappresentazione e descrizione del rito, ma si assiste a una sospensione onirica della realtà attraverso l’esaltazione del movimento.

Dialoghi Mediterranei, n. 58, novembre 2022

Riferimenti bibliografici

Aa.Vv., 1974, Omaggio a Scotellaro, Manduria, Lacaita.

Bachtin M., 1968, Dostoevskij, Poetica e stilistica, Torino, Einaudi.

Broccolini A., Ballacchino K. (a cura di), 2016, Carnevali del XXI secolo, Archivio di Etnografia, anno XI, n. 1-2, Bari, Edizioni Pagina.

Bronzini G. B., 1996, Il viaggio antropologico di Carlo Levi. Da eroe stendhaliano a guerriero birmano, Bari, Dedalo.

Cirese A.M., 2005, Per Rocco Scotellaro: letizia, malinconia e indignazione retrospettiva, in SM Annali di San Michele, San Michele All’Adige, Museo degli Usi e Costumi della Gente Trentina, n. 18: 197-229,  

Clemente P., 2016, Carnevali indigeni del XXI secolo, in Broccolini A., Ballacchino K. (a cura di), Carnevali del XXI secolo, Archivio di Etnografia, anno XI, n. 1-2, Bari, Edizioni Pagina: 17-28.

Levi C., 2000, Le mille patrie: uomini, fatti, paesi d'Italia, a cura di Gigliola De Donato, Roma, Donzelli: 286-287.

Mirizzi F., 2015, Carnevali e maschere in Basilicata, in I figli di Lamisco. Le maschere di Nicola Toce, a cura di Francesca Romana Uccella, Soveria Mannelli (Cz), Rubbettino: 20-36

Padiglione V., 2016, Della maschera: tracce da un’etnografia della cultura giovanile in Broccolini A., Ballacchino K. (a cura di), Carnevali del XXI secolo, Archivio di Etnografia, anno XI, n. 1-2, Bari, Edizioni Pagina: 29-34.

Simeoni P. E., Celebrare la creatività. Le comunità dei carnevalanti e la preparazione dei carri allegorici nella Bassa Sabina in Broccolini A., Ballacchino K. (a cura di), Carnevali del XXI secolo, Archivio di Etnografia, anno XI, n. 1-2, Bari, Edizioni Pagina: 89-104.

Spera E., 1982, Inizio del Carnevale a Tricarico, in «Quaderni dell’Istituto di Scienze Storico-Politiche», II, Facoltà di Magistero, Università di Bari: 317-343.

 

[1] È possibile visualizzare le riprese audiovisive al seguente link https://www.youtube.com/watch?v=YrO5jUcseds


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